Di Marzia Pontone
Il 22 maggio 1873 moriva Alessandro Manzoni. Oggi, nel centocinquantesimo dalla morte, la Biblioteca Nazionale Braidense ne celebra la memoria e il legame storico e culturale con la città di Milano, ma anche con il resto del mondo, affidando la riflessione a un percorso espositivo temporaneo volto a evocare il tema della peste «orribile flagello» tra connessioni storiche e suggestioni letterarie.
La scelta del filo conduttore della mostra e delle iniziative collaterali collegate ci è apparsa in un certo senso obbligata e necessaria. Il tema naturalmente è centrale negli scritti dell’autore: la peste, insieme a guerra e carestia, rappresenta un interrogativo cruciale nel pensiero manzoniano, che ha dato vita a potenti figure letterarie entrate a far parte di un immaginario comune e collettivo. Soprattutto, però, il tema è apparso centrale rispetto al nostro tempo, che solo recentemente – e con fatica – ha intrapreso il cammino di rielaborazione della drammatica esperienza vissuta durante gli anni della pandemia Covid-19.
Pesti, malattie ed epidemie, spesso amplificate da eventi bellici e calamità naturali, accompagnano da sempre la storia dell’umanità, di cui il percorso espositivo ha inteso intercettare in premessa alcuni momenti altamente simbolici, fino agli antecedenti diretti della peste manzoniana. Il punto di partenza ideale non poteva che essere uno dei libri fondativi della letteratura europea, l’Iliade, che si apre con il racconto epico di un terribile morbo che colpì l’accampamento degli Achei alle porte della città di Troia nel decimo anno di assedio. Il tragico binomio tra guerra e pandemia non si esaurisce però nei versi omerici, evocati attraverso la traduzione umanistica di Lorenzo Valla e le versioni ottocentesche di Ugo Foscolo e Vincenzo Monti. Tucidide e Lucrezio traghettano il visitatore dal mito alla storia, affidando alla parola scritta la memoria viva e reale della terribile peste di Atene che travolse l’Attica nel 430 a.C. durante la guerra del Peloponneso.
Dall’antichità si balza poi all’Alto Medioevo. Nello scorcio della guerra gotica (535-553), infatti, i territori dell’impero bizantino governato da Giustiniano furono infestati da una drammatica epidemia di peste bubbonica che, nella fase culminante, arrivò a decimare migliaia di persone al giorno nella sola Costantinopoli. L’episodio, anch’esso rievocato in mostra, rappresentò il più significativo antecedente storico della famosa peste nera che dall’Asia raggiunse il continente europeo poco prima della metà del Trecento e che nella primavera del 1348 arrivò a falcidiare i quattro quinti degli abitanti di Firenze. Gli stessi Petrarca e Boccaccio – di cui sono esposti rispettivamente il Bucolicum Carmen e il Decameron – non si sottrassero alla bruciante attualità della pandemia, elaborando in versi e in prosa il drammatico lutto collettivo della loro terra.
Dalla Toscana del XIV secolo alla Milano sforzesca il passo è breve. Alla voce e alle opere a stampa di storici come Bernardino Corio e Giovanni Simonetta è affidata la memoria delle epidemie di peste e tifo che nella seconda metà del Quattrocento imperversarono nel Ducato, prima che la città e il territorio circostante fossero nuovamente colpiti dal morbo nel 1576-78 e nel 1630. La seconda delle cosiddette pesti borromaiche, aggravata dalla celebra caccia agli untori, sarebbe poi stata immortalata per sempre dal Manzoni nelle sue opere e costituisce il punto di snodo tra il percorso storico e l’affondo letterario manzoniano, cuore della narrazione espositiva.
La peste «orribile flagello» rappresenta per Alessandro Manzoni un motore narrativo e un osservatorio impietoso sulle fragilità morali, sociali e politiche dell’umanità nella Milano spagnola del Seicento, specchio del contemporaneo (suo e nostro). Da La Vaccina alla ventisettana e alla quarantana de I promessi sposi, le carte manzoniane custodite nei fondi storici della Biblioteca Nazionale Braidense accompagnano il visitatore attraverso l’universo civile, letterario e immaginario dell’autore, con un affondo sul celebre passo dell’addio a Cecilia, mentre ulteriori suggestioni narrative sono evocate dalla coeva serie di incisioni di Francesco Corsi ispirate ai disegni preparatori di Gallo Gallina.
Ci si addentra poi nella Storia della Colonna Infame, strumento di denuncia dell’arbitrarietà del sistema giudiziario nei processi agli untori in dialogo con gli scritti di Verri e Beccaria, attraverso una copia d’altra mano della prima stesura con correzioni autografe e lo studio grafico per il frontespizio dell’edizione Guglielmini-Redaelli affidato a Francesco Gonin (che lo stesso Manzoni definì «ammirabile traduttore» in immagine della sua opera e principale artefice del ciclo illustrativo autorizzato della quarantana de I promessi sposi). Altri bozzetti del Gonin, ispirati agli episodi manzoniani ambientati nel Lazzaretto, introducono alla riflessione proposta in mostra su questo luogo di dolore, segregazione e cura, in dialogo con paralleli europei tra Seicento e Settecento, a imperitura testimonianza della circolazione universale dei possibili modelli di società umana di fronte alle fragilità della vita.
La potenza espressiva dell’universo manzoniano rispetto alle tematiche affrontate ispirò del resto, fin da subito, una lunga serie di trasposizioni in differenti linguaggi artistici, che ne alimentarono la fortuna, affiancando le riprese più strettamente letterarie delle opere d’après Manzoni. Di particolare interesse furono gli adattamenti ottocenteschi per il genere teatrale del melodramma, cui hanno dato voce in mostra partiture e bozzetti dell’Archivio Storico Ricordi, illuminati dalla serie dei figurini acquerellati che Giovanni Pessina eseguì per le prove costume dei personaggi nell’atto finale dell’opera di Errico Petrella e Antonio Ghislanzoni, mentre sul fondale della scena campeggiava il Lazzaretto.
Così, mentre il Lazzaretto torna a riproporsi come luogo iconico del dolore della vita umana, ma anche del legame di solidarietà che sorregge gli esseri viventi, il percorso espositivo guida il visitatore verso un altro tema centrale dell’irrompere del morbo, incomprensibile e violento, nel quotidiano intessuto di creatività di musicisti e letterati: la paura della morte. Nelle lettere di Verdi e Mascagni a Giulio Ricordi, come pure nelle missive e nei biglietti dello stesso Manzoni, vivere e scrivere si intrecciano e si confondono, mettendo a nudo la debolezza dell’artista – non dissimile dalla gente comune – di fronte ai drammi piccoli e grandi dell’esistenza umana.
In estrema sintesi, possiamo dire che Alessandro Manzoni seppe parlare ai contemporanei e ai posteri, perché affrontò con consapevolezza le grandi domande che da sempre interrogano l’umanità, a partire dal tema cardine della brevità e della fragilità della vita, esposta in modo violento e imprevedibile agli accidenti della malattia, della fame, della guerra. Pur restando prevalentemente un uomo radicato nel contesto italiano e segnatamente milanese (come documentano le traduzioni coeve e successive nelle principali lingue europee, di cui pure si è dato un saggio in mostra), ebbe la capacità di ispirare suggestioni in altri nomi della letteratura italiana, e finanche straniera, tra Otto e Novecento. Dalla Scapigliatura agli scritti di Salgari, Pirandello, Malaparte e Buzzati, esposti in dialogo (anche visivo) con giganti come Poe, London, Mann, Woolf, Camus, Marquez e Saramago, il grande problema del male diffuso attraversa infinite declinazioni del pensiero umano, aggiungendo sempre nuovi interrogativi, dettati dal mutare dei tempi e delle sensibilità collettive: i disastri ecologici, la questione morale del finis vitae, la salute mentale, il dilagare dell’AIDS.
E se, rispetto alla fatica del vivere, un argine di umanità e dignità è sempre venuto dalle reti di solidarietà, di amicizia e di bene, un valido alleato dell’uomo nella lotta contro le malattie del corpo e della mente è rappresentato dalla scienza, cui un percorso parallelo e trasversale alla trama espositiva principale allude in filigrana durante tutta l’esperienza di visita. Le tavole cromolitografiche di un trattato medico sanitario ottocentesco – svelate allo sguardo nella prospettiva inedita e non replicabile del volume sfascicolato prima dell’intervento definitivo di restauro – raccontano lo sforzo umano (e insieme titanico) di comprendere le cause della malattia e sperimentare sempre nuove prospettive di cura e guarigione. Perché il male non può essere cancellato dalla storia, ma l’uomo non è mai solo nella lotta.
La mostra manzoniana, con la sua pluralità di percorsi di lettura, resta dunque ancorata all’esperienza effimera della fruizione in occasione delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dalla morte di Alessandro Manzoni, ma non rinuncia alla sfida di interrogare i visitatori rispetto alle grandi tematiche universali della malattia, della morte e della cura, rese ancora più attuali dai recenti e complessi anni della pandemia Covid-19.
Il dialogo è aperto con la città, gli ospiti internazionali e le generazioni: mentre la mostra virtuale amplifica l’accessibilità della fruizione a distanza, le numerose iniziative collaterali rafforzano l’esperienza di visita in presenza attraverso laboratori educativi per bambini e ragazzi, circuiti a piedi e performances teatrali in alcuni luoghi manzoniani come la chiesa di San Marco, il Refettorio Ambrosiano a Greco, la stessa chiesa di San Carlo al Lazzaretto (evoluzione architettonica dell’originario altare posto iconicamente al centro del recinto dei malati fin dai tempi della fondazione della struttura di ricovero). In altri termini, la mostra esce dai ristretti confini fisici della sala Maria Teresa della Biblioteca Nazionale Braidense per allargarsi alla dimensione partecipativa dell’intera collettività, chiamata a riscoprire se stessa attraverso il filone narrativo manzoniano.
Infine, attraverso le pagine di questo catalogo, il confronto si proietta in una dimensione ancora più ambiziosa. Il volume a stampa, frutto di una riflessione corale sui materiali esposti, offre ai lettori di oggi e di domani spunti di approfondimento sulle differenti aree tematiche o sulle singole opere del percorso, ma soprattutto lascia aperto uno spazio intimo e personale di pensiero critico rispetto alle grandi domande dell’umanità, riproposte allo sguardo attraverso l’omaggio all’arte di un grande scrittore dell’Ottocento milanese: Alessandro Manzoni.