Ludovico Settala: dalle carte del protofisico al racconto di Manzoni

Di Andrea Spiriti, Laura Facchin

 

La complessa personalità scientifica, politica e culturale di Ludovico Settala (1552-1633) trova certo la sua più nota e tardiva codificazione nelle citazioni positive contenute nel capolavoro manzoniano; ma è parte ben nota delle vicende milanesi seicentesche e della loro immediata codificazione, grazie a un respiro europeo che spazia da Giusto Lipsio a Galileo. Di contro, però, il suo aspetto di collezionista è stato posto un po ’in ombra a seguito dell’incremento della collezione familiare promosso da suo figlio Manfredo, al cui nome normalmente (ed erroneamente) s’associa il Musaeum Septalianum.

Giova, anzitutto, ricordare i dati-base di una biografia esemplare. Discendente di una stirpe de Septala di letrados dai forti legami con la chiesa ambrosiana (l’arcivescovo san Senatore, il beato Manfredo, i due doctores Lanfranco), Ludovico nasce a Milano nel 1552, studia dai Gesuiti braidensi (con dissertatio nel 1568 davanti a Carlo Borromeo, seguita da un invito al sacerdozio curiosamente rifiutato; e qui emerge l’umanista), poi medicina nell’Ateneo pavese, laureandosi nel 1573 in contemporanea con l’inclusione nel Collegio dei Fisici e l’assunzione della cattedra di Medicina pratica. La prima, tragica, esperienza sul campo è la peste carliana del 1576, che costituisce però un grande bagaglio esperienziale. Seguono il matrimonio con Anna Arona, l’adesione all’Accademia degli Inquieti (1594), la cattedra di Filosofia morale e politica (non naturale, si noti) alle Scuole Canobiane nel 1605 e l’ormai acquisito prestigio cittadino e personale, che lo portano a rifiuti di didattica in molti Atenei europei e a consulenze celebri: nel 1616 per il processo a Caterina de ’Medici, accusata di stregoneria ai danni del senatore Melzi, nel 1620 per quello a Baldassarre Capra, che provoca il celebre scambio epistolare con Galileo. La scoperta nel 1622 dei vasi chiliferi da parte di Gaspare Aselli, ma sotto la sua guida, gli garantisce ulteriore fama, codificata nel 1628 con la nomina a protofisico dello Stato di Milano. Tale carica coincide con la peste federiciana (e manzoniana), che lo vede attivo controllando il Tribunale di Sanità. Muore, ormai ultraottantenne, nel 1633.

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