Di Marco Malagodi
La stesura di materiali scrittori è una pratica che risale ai tempi più antichi e, spesso, le procedure produttive venivano da settori diversi rispetto a quelli legati alla scrittura, in generale più redditizi, come per esempio quello tessile, dove la pratica della tintura dei tessuti con materiali colorati era molto diffusa. I coloranti utilizzati nell’antichità, infatti, potevano essere impiegati anche come materiali scrittori ed erano tutti di origine naturale, generalmente estratti da piante, insetti, molluschi e anche licheni (Rosenberg 2008). L’alto livello tecnologico dei processi applicati nel settore tessile ha consentito alle tinture di venire assorbite nelle fibre rendendole al contempo resistenti all’acqua. Le stesse caratteristiche tecniche venivano allo stesso modo applicate nella stesura degli inchiostri, in particolare quelli di colorazione nera che venivano poi utilizzati su supporti diversi, come ad esempio carta e pergamena. Nel corso della sua storia l’uomo ha utilizzato diversi materiali per scrivere, a partire dai pigmenti colorati, ampiamente già impiegati nelle opere policrome, fino all’utilizzo del cosiddetto “carbon black” derivato dalla combustione degli oli o del legno, sempre miscelati con dei leganti organici come resine naturali di origine vegetale o cere e gomme. Una classe importante di materiali scrittori significativamente stabili conteneva ioni metallici noti come mordenti, per esempio alluminio, ferro e rame che conferivano ai composti finali un’alta resistenza al lavaggio (Melo, Claro 2010; Cardon 2007). A questa classe di inchiostri appartiene l’inchiostro ferro gallico, probabilmente il più diffuso e quello che presenta caratteristiche di conservazione più complesse e delicate. I componenti principali dell’inchiostro ferro gallico sono proprio gli ioni metallici che derivano dal vetriolo romano e che si legano a materiali organici naturali generalmente estratti da piante o alberi, generando così il colore nero intenso dell’inchiostro.
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