Epidemie e cure: testimonianze epistolari d’autore

Di Laura Nicora

 

Lesa, 10 novembre 1855. Carissimo Sogni, Un foglio annunzia che il cholera non è totalmente cessato né a Milano, né nell’altre parti della Lombardia. Noi siamo quasi sulle mosse, ma prima di prenderle, mia moglie vorrebbe sapere a che siano le cose su questo proposito, e a Milano e sulla strada da Sesto a Milano per Gal- larate [...]
(Biblioteca Nazionale Braidense, Manz.B.XXXIII 90).

 

Manzoni è preoccupato per la diffusione del colera intorno a Milano, e chiede notizie all’amico Antonio Sogni, cassiere generale dell’«Ospitale Maggiore» e inquilino della casa di via Morone. Il timore è più che giustificato: nell’Ottocento le malattie infettive – colera, vaiolo, tifo – sono responsabili di almeno un quarto delle morti, e periodiche epidemie affliggono ancora le città lombarde. Trent’anni dopo, nel 1886 sarà Giuseppe Verdi – che venera Manzoni e che per lui compone la Messa da Requiem – a preoccuparsi per una nuova ondata di colera. In vista degli impegni a Milano per la “prima” di Otello, scrive a Giulio Ricordi: «[...] Maledetto Colèra!! Da Genova mi scrivono come di cosa leggerissima passeggiera, da nulla... Voi m’allarmate... Vedremo! [...]» (Archivio Storico Ricordi, LLET001204).

Assai poco si sapeva sulle modalità di contagio e sul fatto che tutto poteva essere veicolo d’infezione: persone, abiti, cibo e oggetti. Quando si aveva notizia di possibili rischi epidemici, la Municipalità di Milano nominava una Commissione Straordinaria di Sanità, con sede a Palazzo Marino, composta da personale medico e amministrativo incaricato di adottare i provvedimenti necessari per limitare e combattere la diffusione del contagio, impedire abusi, mantenere un regolare andamento della vita pubblica, evitando al contempo sperperi dell’erario municipale. I cittadini erano autorizzati ad «attendere ai propri lavori e propri negozi» – anche gli albergatori, i locandieri e gli affittaletti – a patto di attenersi a una vita sobria e regolata, «aliena da ogni disordine», e alle norme fondamentali dell’igiene.

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