Dal mito alla storia. La peste nel mondo antico

L’ineludibile retaggio omerico giunge a riverberarsi nell’opera di due illustri autori latini: tanto l’Eneide di Virgilio quanto le Metamorfosi di Ovidio (presenti nella biblioteca personale di Manzoni in svariati esemplari) assimilano la declinazione della peste come evento soprannaturale istigato dagli dei, l’una facendone drammatico presagio che Creta vada abbandonata dai Troiani per... [leggi tutto il testo]

Publio Virgilio Marone (70 a.C. - 19 a.C.)

Opera (Bucolica, Georgica, Aeneis) [ed. Boninus Mombritius]; Milano, Philippus de Lavagnia, 1474; carte 29 verso, 30 recto
Biblioteca Nazionale Braidense, AN. XII. 12

Virgilio, seguendo in filigrana la narrazione lucreziana della peste ateniese, avverte circa i pericoli conseguenti alle pecudum pestes nel luogo delle Georgichequi presentato (III; 440-456, 478-566). Si tratta di una lunga digressione sull’epidemia che colpì la regione alpina del Nòrico, acclusa come memorabile esempio storico alla sezione sulle malattie del bestiame. Nell’interpretazione virgiliana, la peste sovverte l’ordine naturale, impedisce il culto religioso e segna un regresso all’età che precedette l’invenzione dell’aratura.

 

Publio Virgilio Marone (70 a.C. - 19 a.C.)

Opera (Bucolica, Georgica, Aeneis) [comm. Servius]; Venezia, Bernardinus Benalius, 1487; carta 93
Biblioteca Nazionale Braidense, AI. XIV. 28

Il racconto della peste che devasta i Troiani durante il soggiorno di Enea a Creta (isola natia del loro progenitore Teucro), prima che si accingano a costruirvi una nuova città (Eneide, III; 137-142), serve da presagio che altrove (in Italia) vada ritrovata “l’antica madre”, la terra d’origine del loro capostipite Dardano. Rispetto alla descrizione di una reale epidemia nel terzo libro delle Georgiche con piglio storico-naturalistico mutuato da Lucrezio, qui Virgilio segue piuttosto il modello omerico che intende la peste come imponderabile castigo soprannaturale.

 

Publio Ovidio Nasone (43 a.C. - c. 18 d.C.)

Opera [ed. Barnabas Celsanus]; Vicenza, Hermannus Liechtenstein, 1480; carte i6 verso, i7 recto
Biblioteca Nazionale Braidense, AM. XVII. 26

La Fabula XXVI dal titolo Formicae in homines nel settimo libro delle Metamorfosi (523-560) rievoca l’episodio mitologico della pestilenza occorsa in Egina (piccola isola nel golfo Saronico, di fronte ad Atene) come conseguenza del castigo divino di Giunone, desiderosa di punire la ninfa omonima lì dimorante per i suoi amori con Giove. Nel racconto ovidiano, il re Eaco, unico sopravvissuto allo sterminio, ottiene poi dal dio di ripopolare l’isola tramutando miracolosamente le formiche in uomini.

 

Johann Wilhelm [Guillaume] Baur (1607-1640)

Descriptio pestis in Aegina [Sub Minoe Rege Pestis in Aegina]; stampa xilografica sciolta, c. 1639-1641; mm 90 x 135 [intera carta 160 x 199]
Pinacoteca di Brera - Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 1058

Si tratta della scena numerata 67 nel corpus di 150 illustrazioni al testo ovidiano, incise seguendo suoi propri disegni (Vaduz, Sammlungen des regierenden Fürsten von Liechtenstein) dall’artista tedesco, nato a Strasburgo nel 1607, vissuto tra Roma e Napoli e morto a Vienna nel 1640. L’immagine è fedele trasposizione in chiave barocca del castigo pestilenziale di Giunone, che giganteggia tra le nubi mentre morte e sopraffazione imperversano sull’isola di Egina.

 

Tucidide (c. 460 a.C. - c. 400 a.C.)

Historia Belli Peloponnesiaci [tr. Laurentius Valla; ed. Batholomaeus Parthenius]; Treviso, Johannes Rubeus Vercellensis, c. 1483; carte d6 verso, d7 recto
Biblioteca Nazionale Braidense, AP. XVII. 1

Con una prefazione rivolta al pontefice Niccolò V, questo incunabolo in folio reca la traduzione latina della poderosa trattazione storica di Tucidide per opera di Lorenzo Valla. Il luogo qui presentato (II; 47-53) fa esplicito riferimento alla peste attica del 430 a.C., descritta come drammatica conseguenza dell’ammassamento della popolazione in città dalla circostante campagna. In verità, il testo amplia la portata dell’epidemia, rintracciandone l’origine in Etiopia, la successiva espansione in Egitto, Libia e Anatolia, prima di giungere a colpire Atene.

 

Tito Lucrezio Caro (c. 94 a.C. - c. 55 a.C.)

De rerum natura; Verona, Paulus Fridenperger, 1486; carte m4 verso, m5 recto
Biblioteca Nazionale Braidense, AN. XII. 8

Come crollo totale dell’umanità, la pestilentia atheniensium è evocata nel libro conclusivo (VI; 1138-1286), traendo ispirazione da Tucidide. Alla lucidità dell’analisi storica, tuttavia, Lucrezio somma il peculiare scrutinio naturalistico della fisica epicurea, associando l’epidemia ad altri fenomeni catastrofici angoscianti, come terremoti, fulmini ed eruzioni vulcaniche. Nella sua interpretazione, l’epidemia ha perciò anzitutto cause naturali, da rintracciare nell’alterazione dell’aria dovuta a turbamenti atmosferici.