L’epidemia di peste bubbonica, che si originò nei territori dell’impero bizantino sotto Giustiniano nel sec. VI, arrivò nella sua fase culminante a decimare oltre cinquemila vittime al giorno nella sola Costantinopoli. Sebbene il primo focolaio divampasse nell’anno 541, l’esercito bizantino era sbarcato in Italia sin dal 535, con inevitabile estensione del contagio durante le battute finali della Guerra Gotica: lo testimonia alla fine del sec. VIII il resoconto storico di Paolo Diacono, ben noto a Manzoni, che difatti vi si sofferma nell’appendice al quarto capitolo del Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia (edito da Ferrario nel 1822). Con le sue ripetute ondate successive fino al 750 circa (sia pur prive della devastante carica virale della prima), la peste giustinianea costituisce il più significativo precedente della cosiddetta “peste nera”, una vera e propria pandemia generatasi nel quarto decennio del sec. XIV in Asia e diffusasi in Europa a decorrere dal 1346, pervenendo l’anno seguente alla Penisola dalla Sicilia. Si stima che il Vecchio Continente abbia complessivamente sofferto la decimazione di un terzo della popolazione, tra i venti e i venticinque milioni di persone. Due testimoni d’eccezione della falcidia pestilenziale occorsa a Firenze, che perse quattro quinti dei suoi abitanti tra la primavera e l’estate del 1348, sono Petrarca e Boccaccio: in poesia e in prosa, tra intimistico lirismo che tenta di elaborare un immane lutto collettivo fattosi personale (per la perdita, oltre che di alcuni amici, anche dell’amata Laura) ed espediente narrativo per esorcizzare in chiave persino salacemente irriverente il dramma dell’isolamento, i due sommi progenitori della letteratura italiana non possono sottrarsi alla bruciante attualità della peste e delle sue universali ripercussioni. Se poca attenzione Manzoni riserva a Petrarca, il Decameron curato nel 1803 da Giulio Ferrario per la Società Tipografica dei Classici Italiani ha nell’esemplare custodito alla Villa di Brusuglio un consistente corpus di postille autografe, che documentano il suo vivo interesse per i peculiari aspetti linguistici del capolavoro boccaccesco.