Lazzaretto è la parola, fatta discendere per tradizione etimologica dal lebbroso Lazzaro della nota parabola evangelica, con la quale si designa il ricovero approntato per gli appestati, sia per isolare il contagio mediante la quarantena, sia per provvedere alla cura degli ammalati inguaribili. Esistono, tuttavia, altre possibili origini del nome: per deformazione fonetica e grafologica di Nazarethum, quale era conosciuta l’isola della laguna veneziana ospitante il monastero di Santa Maria di Nazareth (dove il più antico lazzaretto stanziale della Penisola italiana venne edificato nel 1423); oppure, con specifico riferimento al contesto milanese, per commemorativa derivazione dal nome proprio del primo architetto responsabile della fabbrica del sanatorio sforzesco, Lazzaro Palazzi. Epicentro delle vicende conclusive e dirimenti del capolavoro manzoniano, il lazzaretto di Milano cominciò ad essere costruito nel 1488 in età ludoviciana, per essere tuttavia ultimato solo nel 1576 in epoca borromaica: esso costituisce uno snodo ideale e fattuale in questo percorso espositivo, di raccordo tra la rievocazione iconografica del suo spazio nel romanzo e la sua trasposizione in fittizia scena da melodramma operistico en hommage, a dimostrarne la perdurante fortuna di sinistra eppur pregnante icona architettonica. Ne viene perciò esplorata in questa sezione la trasversale rilevanza storica, travalicante il cimento manzoniano: si trascorre, così, dall’autografo con il rilievo grafico annotato del sanatorio milanese a uno sguardo internazionale all’Europa sei-settecentesca, tra repertori figurati dell’accattonaggio epidemico e trattazioni sanitarie e politico-giuridiche sulla gestione del morbo, sino alla compilazione ragionata di un catalogo di tutti i principali lazzaretti del continente (con l’eminente caso di Marsiglia).