Ancor vivente Manzoni, il primo adattamento in musica per opera lirica de I Promessi Sposi fu portato in scena nel 1830 al Teatro Nuovo di Napoli dalla compagnia Tessari, con musica di Luigi Bordese e libretto di Giuseppe Ceccherini: si trattava evidentemente di una riduzione tratta dalla prima edizione del romanzo, ritradotta in opera buffa o semiseria secondo il gusto del tempo per lo stile farsesco. Con alcune eccezioni europee - come Il matrimonio sul lago di Como di Franz-Joseph Gläser su libretto del favolista Hans Christian Andersen (andato in scena al Teatro dell’Opera di Copenhagen nel 1849) e Stella Monti di Louis Kettenus su libretto di Demoulins (rappresentato al Théatre de la Monnaie di Bruxelles nel 1862) - è prettamente il melodramma italiano ad annoverare nella stagione ottocentesca le trasposizioni più frequenti: dalle meno memorabili (come quelle di Pietro Bresciani su libretto di Antonio Maria Gusella a Padova nel 1833 e di Luigi Gervasi su libretto di Giovanni Bidera e Jacopo Ferretti l’anno seguente a Roma) alla più celebre dovuta ad Amilcare Ponchielli su libretto definitivo di Emilio Praga, connotato in senso post-risorgimentale (dopo una precedente versione a più mani, in chiave pre-unitaria), rappresentata in prima stesura al Teatro Concordia di Cremona nel 1856 e in seconda stesura al Teatro Dal Verme di Milano nel 1872. Primo lavoro operistico direttamente ispirato alla “quarantana”, la redazione definitiva del melodramma di Ponchielli, universalmente ritenuto il migliore per qualità complessiva, teneva però conto del pregresso tentativo - di cui questa sezione offre in visione importanti materiali, generosamente prestati dall’Archivio Storico Ricordi - di Errico Petrella (ancora basato sulla “ventisettana”), che aveva goduto nel 1869 della formale approvazione manzoniana, per la fedeltà del librettista Antonio Ghislanzoni alla “naturalezza” della lingua del romanzo, pur con le inevitabili necessità di adattamento funzionali alla rappresentazione musicale.