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Nell’Ottocento la peste narrata da Manzoni era solo un doloroso ricordo. Tuttavia, altre epidemie si succedettero nel tempo, in particolare il colera, il tifo, il vaiolo e, agli inizi del Novecento, la terribile influenza spagnola. In caso di contagio, a Milano i Podestà e i Sindaci emanavano severi avvisi sanitari su norme igieniche, fumigazioni disinfettanti, chiusure di luoghi pubblici e anche sul trasporto e commercio degli stracci, considerati veicoli di infezione, come nella peste del Seicento. Dal momento che con gli stracci si fabbricava gran parte della carta, la posta era a sua volta considerata potenziale veicolo di contagio: così, le lettere provenienti da località contaminate venivano sanificate, utilizzando curiosi ed empirici procedimenti. Alcuni documenti e lettere del Fondo Manzoniano presso la Biblioteca Nazionale Braidense e dell’Archivio Storico Ricordi rivelano le ansie e gli allarmi provocati dalle epidemie e dalle malattie in genere, perché per tutto l’Ottocento, come nell’età de I Promessi Sposi, non erano ancora note le modalità di contagio e non si disponeva di farmaci adeguati. Di grande interesse, e talora toccanti, sono le testimonianze di Manzoni, dei suoi amici e familiari, così come quelle di celebri musicisti e librettisti. A lato di elenchi di medicine acquistate da Manzoni in farmacia, sono esposte lettere dello scrittore che entrano in un doloroso privato: la morte di Enrichetta e della figlia Giulia, la meningite del figlio Pietro, il timore per il diffondersi del colera. Cupo il riferimento al “maledetto colera” di Giuseppe Verdi, che teme per la prima di Otello; dal canto suo, Giacomo Puccini, in una Viareggio solatìa, vede buoni presagi per una spagnola che va scomparendo; Mascagni, da Pesaro, si improvvisa anglofilo, potendosi nella farmacia inglese trovare rimedi per tutti i mali; Antonio Ghislanzoni, da buon massaro, brontola per i costi troppo alti dei medicinali. Ansie quotidiane di grandi personaggi: la musica, però, volerà alta anche sulle epidemie più devastanti.

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