A Filadelfia esce, nel 1838, The Narrative of Arthur Gordon Pym of Nantucket, il testo dal quale ha origine la letteratura legata al male, alle malattie, alle pandemie fra Otto e Novecento: la tubercolosi che porta alla morte la giovanissima moglie Virginia contribuisce a dar vita a un modello di narrazione in cui il male fisico e quello morale si intersecano coi fantasmi generati dalla paura della malattia, del dolore, della morte. Nel 1857 - lo stesso anno in cui Baudelaire pubblica Les Fleurs du mal - escono a Parigi le Histoires extraordinaires, traduzione di Extraordinary stories, New extraordinary stories, Grotesque and serious stories e del Gordon Pym di Poe, scoperto dal poeta francese nel 1847.
Nella seconda metà dell’Ottocento la cultura positivistica contribuisce ad aumentare l’attenzione nei confronti del morbo e delle pandemie, narrate sovente in chiave catastrofica, come in The Scarlet Plague (1912) di Jack London: sessant’anni dopo una terribile pestilenza, uno dei pochi sopravvissuti la racconta ai nuovi nati, cercando di trasmettere conoscenza e saggezza. Il morbo funziona come detonatore emozionale in Der Tod in Venedig di Thomas Mann (1912): l’epidemia di colera (negata dalle autorità) che colpisce Venezia si fonde coi disturbi di cuore e l’ossessione malata di Gustav von Aschenbach, il protagonista, per l’adolescente Tadzio. Presente solo per accenni e allusioni, l’influenza spagnola, da cui è appena guarita la protagonista di Mrs. Dalloway (1925) di Virginia Woolf, percorre tuttavia l’intera tramatura del libro.
Una potente ammonizione per il nostro presente arriva da La peste (1947) di Albert Camus: prevenzione e attente misure possono salvare l’uomo; ma l’antidoto finale sono la solidarietà e la cura dell’altro. Il colera torna in altro luogo (Cartagena, Colombia) e in altro ambiente ne El amor en los tiempos del colera (1985) di Gabriel Garcia Marquez: ma qui il morbo favorirà la ricongiunzione di Florentino a Fermina dopo “cinquantatré anni, sette mesi e ventitré giorni - notti comprese”. La commedia Une visite inopportune (1988) di Copi affronta il morbo dell’Aids, rappresentando, con disincanto, l’assenza di empatia e compassione anche nei confronti della morte dell’altro. Ensaio sobre a Cegueira (1995) di José Saramago racconta gli effetti nefasti dell’epidemia della cecità (simili alla peste del Decameron) e di come, ancora una volta, la solidarietà e l’amicizia possano restituire dignità al genere umano.*