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L’ecfrasi è l’elaborato strumento retorico che si dispone alla particolareggiata descrizione in parola di un’immagine, ingaggiando una sfida virtuosistica sul piano verbale con il campo visivo. Valenza ecfrastica ha, specialmente nell’Umanesimo e nel Rinascimento, il dispositivo polisemico dell’allegoria, come “altro parlare” aristotelico (o dantesco “visibile parlare”) che trascenda il mero significato letterale. Tra XVI e XVII secolo l’Iconologia di Cesare Ripa è il libro paradigmatico che sancisce la sinergica integrazione di registro letterario e figurato in un unico repertorio ragionato di invenzioni allegoriche. Ne costituisce un indubbio precedente il libro di emblemi di Andrea Alciato, con i suoi incastri simbolici di lettere e icone, quasi tessere di un mosaico allegorico. Alcune immagini parlanti tratte da questi volumi veicolano altrettante icastiche rappresentazioni insite al tema della peste, al pari di altri esempi qui presentati: il retaggio medievale della “danza macabra” suggella il trionfo della morte epidemica sulla vana mondanità, che un posteriore libretto illustrato da Hans Holbein ritraduce in sagace beffa moralistica; il più bel libro a stampa del XV secolo, l’Hypnerotomachia Poliphili, pone una onirica comparazione del “pestifero morbo” con i tormenti della malattia d’amore, che diviene in Alciato esemplificazione emblematica della “scabbia gallica” ossia un’epidemia venerea di origine francese; sino alla corrispondenza che si stabilisce idealmente tra la personificazione del contagio infettivo proposta da Ripa e la cura medica al malato messa realisticamente in scena nella tavola Pestilentia, a corredo della trattazione di Johannes de Ketham.

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